Skeldon

View Original

“Il Tocco Umano”

Sei in giro con il tuo nuovo live per sola chitarra: come procede questo tour da one-man-band?

Procede molto bene, grazie. L’affluenza di pubblico è buona e il riscontro è sempre positivo, sia da parte di chi ascolta che da parte dei promoters. Sai, combatto sempre un po’ contro il pregiudizio che il mio sia un concerto di sola chitarra, ma si va ben oltre, è divertente, cambia sempre marcia. Si va dalla sperimentazione al funambolismo, da un uso spregiudicato degli effetti al semplice divertimento sullo strumento… sono molto soddisfatto. Chiaro che le regole da seguire per il Covid non lasciano ancora la libertà a cui eravamo abituati in passato. Ma il mio è un concerto dove –se vuoi– puoi ballare, ma te lo godi anche stando seduto.


È da poco uscito il tuo nuovo album “Cicatrici”: puoi presentarcelo a partire dal titolo?

Le cicatrici di cui parlo sono quei segni che la vita ti lascia addosso, non necessariamente segni negativi; intendo infatti tutte le esperienze musicali e umane possibili: viaggi, conoscenze, dolori, felicità… tutto convogliato nella traduzione musicale di questo disco. Ecco perchè è un disco così eterogeneo. Molti mi chiedono se sono spaventato da questa eterogeneità… per niente, anzi. In un mondo dove sembra essere privilegiata la omologazione culturale e artistica (io non riesco a distinguere un brano dall’altro, un artista dall’altro..) un elogio della diversità, dell’ esplorazione, della curiosità intellettuale e musicale come può spaventare? Secondo me è proprio il contrario. Chiaro poi che il trait d’union di tutto è la mia chitarra, anche se di volta in volta si trasforma in vari strumenti! Poi, guarda caso, un simile riassunto musicale capita proprio al terzo disco, quello, si dice, della maturità…

Veniamo un po’ alla tua strumentazione: quali chitarre, ampli e strumentazione hai scelto?

Partiamo dalle chitarre che porto in tour: ho scelto di lasciare a casa le mie Martin (di cui sono onorato endorser da piu di 15 anni) e mi sono portato le due EKO ideate da Roberto Fontanot (sono anche endorser delle Eko guitars). La prima è la WOW modello Finaz Custom. Una 018 amplificata con il sistema Heartsound Perlucens con fondo e fasce in cocobolo e top in abete italiano. Una grande chitarra, dal gran suono e dalla maneggevolezza estrema. L’altra è la Marco Polo SO sempre Finaz custom model (in Ovangkol e abete). E’ una 3/4 dal suono incredibile, leggerissima e con il Fishman Flex ha un volume pazzesco, la uso per le cose piu sperimentali. Poi ho la Bacci Gemini modello Finaz, una chitarra artigianale costruita su mie specifiche da Bruno Bacci… una bomba! Legni super-stagionati e selezionatissimi, con Lollar C.Christian al manico e Joe Burden splittabile al manico, una hollow body in legno massello da favola! L’ultima chitarra che porto in tour è la resofonica della Royall. Lascio la National originale a casa in quanto non ho avuto il cuore di “bucarla” per mettere il pickup. Questa che uso dal vivo mi è stata data gentilmente in sponsor dai ragazzi della ValmusicPro: è molto affidabile, bellissima a vedersi e amplificata ha un suono pazzesco! Tutte e tre le chitarre vanno in diretta attraverso la pedaliera (senza ampli quindi) in stereo con due DI Radial J48. Veniamo alla pedaliera:

Boss TU3 – accordatore.

Dophix Michelangelo – pre-overdrive (incredibile… bellissimo).

Egosonoro FAD – il mio blasonato distorsore per acustica, disegnato da me e che caratterizza il mio suono da tempo. 

SeElectro Harmonix POG2. 

Boss SY1 per il suono di basso, come Octaver

Strymon Timeline – delays e Strymon Blue Sky – reverbero.

Uso poi una stompbox Roland Kick One come grancassa e il TC Helicon Acoustic per gli effetti della voce. Gestisco tutto io, il fonico mi apre solo i canali ed equalizza quel poco di cui si ha bisogno.

Quali altre collaborazioni stai portando avanti in questo periodo?

Al momento sto collaborando con Piero Pelù, infatti sono il chitarrista dei Bandidos insieme a Dado Neri al basso e Luca Martelli alla batteria. Stiamo imperversando per tutta Italia e i concerti stanno andando benissimo. Piero è veramente carico e lanciatissimo, anche perchè era veramente un cane rinchiuso in gabbia dopo Sanremo dell’anno scorso (ieri al concerto di Fossano si è presentata anche la signora a cui lui aveva “rubato” la borsa.. momento fantastico!).Stiamo facendo grandissimi concerti con sold out quasi ovunque, dunque sono molto contento. Si tratta anche di un’esperienza nuova, essendo io un uomo “di band” qui mi trovo invece “al servizio”, che per certi versi è più rilassante, ti senti meno chiamato in causa ma allo stesso tempo devi stare molto più attento agli “scazzi” di quando sei tu l’artista, perché devi rendere conto al tuo “datore di lavoro”. 

Però c’è un clima molto bello, ho quasi ritrovato quello della Banda e siamo tutti molto complici; poi con Piero ci conosciamo da trent’anni per cui c’è un’atmosfera di rispetto, di amicizia, di divertimento e di scazzo totale se pur tra professionisti, chiaramente. 

Inoltre al momento continuo a collaborare con Petra Magoni: il 17 settembre inizieranno da Parigi i nostri concerti e stiamo scrivendo insieme un brano sui 700 anni di Dante, un’iniziativa che coinvolgerà anche Elio, Ruggeri e tanti altri artisti sotto la produzione di Mauro Valenti e Arezzo Wave, e che si concluderà con la realizzazione di un doppio LP in vinile e – a dicembre– un grande concerto tutti insieme in teatro ad Arezzo. Queste sono le mie collaborazioni al momento, mi basta e mia avanza per non dormirci la notte ma ne sono felice!

Qual è il tuo rapporto con i tecnici con cui ti trovi a collaborare tra i vari progetti in cui sei coinvolto?

Noi della Banda siamo sempre stati noti per trattare i tecnici meglio di noi artisti! Tutti volevano lavorare con noi.. chiedi ai ragazzi di Skeldon! Ieri ad esempio, al concerto di Piero ho incontrato Giorgia, che curava le luci con la Bandabardò tra il 2009 e il 2012/13, e siamo entrambi impazziti di gioia nel rivederci dopo dieci anni. 

Si crea un veramente un bel rapporto perché lo spettacolo si costruisce insieme: c’è l’artista, e c’è il pubblico ma ci sono anche questi personaggi “neri”, gli invisibili della musica e dello spettacolo che stanno dietro le quinte e che il più delle volte ti parano il culo e puoi permetterti di fare il figo solo perchè hai Lollo Alemanno o Perez Peretti per citarne due, che ti portano la chitarra messa a punto; che cambiano il cavo in corsa; che magari la notte si prendono pure i tuoi strumenti e viaggiano dall’altra parte d’Italia per permettere a te di viaggiare riposato in aereo. Ecco, massimo rispetto per queste persone che hanno una professionalità enorme e si fanno un gran mazzo.


Quanto utilizzi la tecnologia nel tuo lavoro musicale e cosa invece non può essere sostituito dal “tocco umano”?

Uso tantissimo la tecnologia perché naturalmente semplifica la vita ed accorcia enormemente i tempi di produzione. In passato per fare un disco occorrevano mesi tra scrittura, pre-produzione, arrangiamento. Quando ho iniziato a scrivere i miei primi brani esistevano a malapena i 4 piste che frusciavano dopo decine di riversaggi. Oggi abbiamo Logic, i Mac, sistemi e mezzi molto potenti  semplicemente in casa nostra: ho registrato metà del nuovo album proprio così. 

Anche dal vivo uso varie macchine, anche se non utilizzo nè loop nè basi registrate perchè lo “human touch” è molto  importante: io suono tutto in diretta in modo da poter lavorare sulla dinamica, sulle durate, sulle velocità ed interagire continuamente. Ciò che per me è impensabile è dare un prodotto confezionato sempre allo stesso modo. Chi assiste ad un mio concerto (o uno della Banda) vede ogni volta un live diverso, anche con un margine di errore. Un tocco umano, appunto. Magari prendi una velocità sbagliata (ride) oppure semplicemente quella sera vuoi cambiare il solo e fare un’altra cosa. 

Da fruitore di musica, se vedessi un artista che propone lo stesso live nota per nota senza mai cambiare nulla, mi risulterebbe egli stesso un po’ “macchina”. Il fattore umano sta nella creatività, soprattutto dal vivo. Ben venga l’uso di sequencer o cose simili, ma a volte è meglio “incrudire” il suono, lavorare su altri aspetti ma cercare di far suonare davvero i pezzi. Non mi piace suonare sui loop perchè ho l’impressione di fare una sorta di piano bar. Fermo restando che ci sono artisti e colleghi che hanno esplorato a fondo questa pratica, io preferisco lavorare su altre situazioni.

È un momento molto incerto per la musica live: cosa è cambiato secondo te e a cosa ci attende in futuro? 

Per ora dobbiamo abituarci al fatto di stare seduti; al fatto che ogni tanto esca qualche misura che tarpa ancor più le ali al nostro mondo; bisogna stare attenti perchè questa bestiaccia è ancora tra noi. Insomma, non sono pro o contro il vaccino ma non vedo altra soluzione per sconfiggere questo virus e tornare ad una normalità, che poi non so se di normalità si trattasse prima. 

Comunque spero sempre che venga fuori qualcosa di meglio e secondo me l’essere umano riesce sempre ad abituarsi a qualunque cosa, lo si vede ora: la gente ha voglia di live, di concerti, di spettacoli. Per quanti ostacoli vengano posti le persone hanno voglia di uscire, e questo mi piace. Ieri ad esempio, sempre al concerto di Pelù, un genitore della mia età viene da me e mi dice: “mio figlio di 15 anni ascolta la trap ma dopo averti sentito suonare non riesce a credere che con un pezzo di legno e delle corde si possa fare tanto.. domani vuole che gli compri una chitarra!”. Sarà “l’effetto Maneskin?” (ride).

Credi quindi che la pandemia possa aver cambiato il “fare musica” o le sue modalità di fruizione?

Chissà, forse queste situazioni potrebbero riportare ad una maggiore voglia di socialità: non ce l’ho assolutamente con la trap (ci sono per altro cose bellissime) però è un tipo di esperienza un po’ solipsista, diciamo: vai sul palco con delle basi e ci canti sopra, non c’è una band, sebbene alcuni artisti come Salmo ed altri abbiano ampliato molto i loro show. Secondo me ci sarà la voglia di vedere tanta gente sul palco che suona e suda e che probabilmente ha passato dieci anni della propria vita curvo sulla chitarra a piagarsi le mani esercitandosi con le scale, scrivendo canzoni ecc. 

È un peccato che tutto questo sia stato messo un po’ da parte. Ho conosciuto ragazzi che hanno scoperto cos’è un basso grazie a Vittoria dei Maneskin. Mi sembra assurdo! Quindi un elogio va ai genitori che portano i figli ai concerti facendo  scoprire loro il rock e la musica live, cose che semplicemente non apprezzano perché non le conoscono, finendo per seguire solo le tendenze dei telefonini. 

Ho anche sperato che durante i lockdown i genitori trascorressero più tempo con i loro figli per scambiarsi la musica e conoscere più cose possibile. Basti vedere cos’è successo con il film su Freddie Mercury: i ragazzini sono del tutto impazziti, corrono a vedere le tribute band e i Queen rientrano in classifica.. è pazzesco! 

Nell’ultimo tour della Banda (2018-2019) i tanti giovanissimi alle feste di piazza restavano a bocca aperta e dicevano: “esiste questa roba?”. Non dico che adesso sia meglio o peggio, semplicemente veniamo da una generazione che a vent’anni ascoltava tutto: guardavamo alla musica contemporanea e alle novità, ma in casa avevamo gli album dei Beatles, dei Rolling Stones, dei Pink Floyd, dei Led Zeppelin, dei Deep Purple, di Muddy Waters, oltre alla classica, al jazz.. qualunque cosa fatta con sette note noi la ascoltavamo. Vorrei che in qualche modo questo potesse tornare; vedere gli scaffali pieni di vinili e sentire la gente dire che è bello ascoltare tantissime cose diverse. Mentre ero in vacanza un amico e grande ascoltatore di musica mi ha fatto ascoltare Am I Wrong di Keb Mo dalla sera alla mattina, facendomi innamorare dello slide. Poco dopo è arrivato il lockdown, mi sono messo a suonare con lo slide e da lì è nata Heart of Stone.